La sorprendente verità dietro l’uso della bustarella ai posti di blocco: non chiamarlo corruzione!

Il dibattito sulla corruzione ai posti di blocco stradali si accende: una recente sentenza getta nuove ombre sull’interpretazione di questi comportamenti illeciti. Vediamo cosa è stato deciso e come potrebbe influenzare la nostra idea di corruzione.

Sei in macchina, la strada scorre veloce e all’improvviso ti ritrovi davanti a un posto di blocco. Il cuore batte, anche se in teoria non hai nulla da nascondere. Ma per chi è consapevole di non essere in regola, quel momento può diventare critico. Alcuni pensano subito a come sfuggire alle sanzioni, e tra i vari stratagemmi c’è anche quello di allungare una “mazzetta” agli ufficiali.

Nel far rispettare le regole del traffico, polizia e carabinieri articoleranno sicuramente multe e altre punizioni quando scovano trasgressori. E sì, non si conta più quante volte abbiamo sentito storie di tentativi di corruzione per evitare multe salate.

Cosa dice la legge sulla corruzione?

L’articolo 318 del nostro Codice Penale è piuttosto chiaro nel definire la corruzione per l’esercizio di una funzione pubblica. Chi nel pubblico servizio prende per sé soldi o altri vantaggi oppure si fa promettere benefici per avere un occhio di riguardo, può essere guardato male dalla giustizia, fino a 6 anni di prigione. Quindi, la faccenda sembra piuttosto seria, no?

Essere però a volte il confine tra lecito e illecito diventa sottile, e così a seguito di una recente pronuncia giuridica è sorto il dubbio su cosa realmente si debba considerare corruzione, aprendo a interpretazioni prima impensabili su ciò che costituisce o meno un reato.

Il caso che potrebbe cambiare le cose

Normalmente quando si parla di corruzione pensiamo a grosse somme di denaro passate sottobanco per avere favori non dovuti. Eppure, pare che gli ermellini della Corte Costituzionale abbiano di recente stabilito che, in un episodio particolare, non si estava di fronte a un tentativo di corruzione perché la somma proposta era troppo bassa.

Immaginate di trovarvi davanti a una pattuglia e di passare di mano una banconota da 10 euro: qualcuno ci ha provato, ma i giudici hanno interpretato la cosa come un tentativo imbarazzante di scappare alle responsabilità, più che una vera e propria corruzione. Questa decisione pare suggerire che occorra valutare di volta in volta l’intenzione reale dietro al gesto, prima di gridare al lupo. Chiaramente, si dovrà esaminare tutto ciò in dettaglio e con occhio critico per comprendere fino in fondo le nuove sfumature legali che emergono da questo caso.

“Il rispetto per la legge è la base di ogni civiltà”, affermava Cesare Beccaria, eppure, oggi ci troviamo di fronte a una sentenza che sembra sfidare questo principio fondamentale. La decisione della Sesta Sezione Penale della Corte di non considerare la “bustarella” come un tentativo di corruzione, se l’importo è irrisorio, apre un varco preoccupante nell’interpretazione della legge.

Se da un lato può apparire comprensibile non equiparare un gesto di palese disprezzo verso le forze dell’ordine a un vero e proprio atto di corruzione, dall’altro lato questa interpretazione rischia di minare la fiducia dei cittadini nel sistema giudiziario e nelle forze dell’ordine. La legge dovrebbe essere chiara e inappellabile, soprattutto in materia di corruzione, per evitare che si creino zone grigie che possano essere sfruttate impropriamente. La questione solleva interrogativi profondi sui valori che intendiamo difendere come società e sulla direzione che vogliamo dare al nostro sistema legale.

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